Voci dal silenzio
Incontro con un giovane copto
Vivono tra noi e con noi da anni, addirittura da decenni. Eppure, nella percezione comune, gli arabi cristiani restano una realtà sfuggente, indefinita, talvolta indecifrabile. I media si occupano poco o nulla di loro, sembrano quasi ignorarne l’esistenza. In un mondo che tende a incasellare e banalizzare, essi complicano e contraddicono. Parlano arabo, ma non sempre lo scrivono; quando pregano, nelle loro litanie si odono i suoni dei secoli. Portano nomi arabi ma anche greci, ebraici e occidentali. Legati alla loro terra d’origine, vivono però in un altro mondo. Sono, in un certo senso, le nostre radici, voce d’una coscienza remota. Ne rivendicano l’appartenenza senza gelosia, ma con fermezza e malcelato dolore. Il loro è un destino di solitudine, come il paese di provenienza, quell’Egitto considerato il fulcro del mondo arabo ma con una storia e una tradizione nata millenni prima, al di fuori, sui fiumi. E nella Bibbia. Mosè, i faraoni, San Marco, gli anacoreti. Alcuni professano il cattolicesimo, ma la maggior parte è costituita da copti ortodossi. Yahya B. ne è un esponente.
Yahya (Giovanni in italiano), ventidue anni, vive a Milano e lavora in un’azienda privata. Molto attivo nella sua comunità, dove lo incontriamo, ci ha colpiti la sua benevolenza e la sua voglia di comunicare, che a tratti assume i caratteri d’uno sfogo liberatorio.
«Mi trovo bene in Italia – esordisce –, è un paese europeo e al tempo stesso mediterraneo, crocevia di diverse culture. Sono arrivato qui da bambino quindi posso dire di sentirmi italiano. Ma in Egitto torno appena posso, in particolare d’estate. Vado a trovare i parenti, gli amici. È una cosa un po’ strana: laggiù mi chiamano l’italiano, mentre qui sono l’egiziano e ogni tanto anch’io faccio fatica a definirmi. In me convivono due aspetti coi quali avverto un legame molto forte».
- L’Egitto è per natura cosmopolita, anche se negli ultimi anni la situazione delle minoranze – e quella dei cristiani ne è una importante componente – sembra peggiorata. Che ne pensi?
«Che sia peggiorata mi pare indiscutibile. Oggi va meglio rispetto al recente passato, quando i copti subivano dure persecuzioni, minacce, attentati. Gli islamisti allora al potere bruciarono chiese e cattedrali e tanta gente venne uccisa per strada, sotto gli occhi di tutti. Un periodo tremendo. Oggi cristiani e musulmani sono tornati a convivere più o meno pacificamente, ma il clima è ancora molto teso».
- Perché dici “più o meno”?
«Perché quella attuale è una pace solo apparente. Niente a che vedere con la secolare tradizione di rispetto reciproco inscritta nella storia dell’Egitto. Il governo militare tiene il paese col pugno di ferro, ma la vera pace alberga nei cuori, che invece rimangono chiusi e a volte ostili. Senza sconti per nessuno. In simili frangenti, però, sono sempre le minoranze a pagare il prezzo più alto. Alcuni miei amici hanno subito minacce e tentativi di conversione. A me direttamente non è successo ma, ripeto, il clima è incandescente, soprattutto per le donne e le ragazze. Ad esempio, non sono più libere di vestire come vogliono».
- C’è qualche divieto?
«No, nessun divieto. Ma, di fatto, se indossi una minigonna o una maglietta aderente sei guardata male e a volte anche molestata dai giovani musulmani. Sembra un problema secondario, invece rappresenta un grave limite alla libertà personale. E in ambito politico-sociale non è diverso. Raramente si trova un cristiano nei ruoli di ministro, giudice, maresciallo o sindaco. Lo ribadisco: era più comune un tempo rispetto ad ora. Siamo regrediti? Verrebbe da rispondere di sì».
- Hai parlato di persecuzioni. Esiste secondo te qualche episodio che illustri bene la situazione di quegli anni dolorosi?
«Il momento più tragico è stato sicuramente il massacro dei 21 operai copti in Libia, rapiti dai terroristi e portati nel deserto per essere maltrattati, sottoposti a lavori forzati e torture disumane allo scopo di costringerli a rinnegare la loro religione. Ma essi hanno resistito e sono stati sgozzati sulle coste del Mediterraneo, una morte in diretta che i terroristi hanno filmato e mostrato al mondo intero. Che però non ha avuto alcuna reazione per difendere il cristianesimo e la sua storia».
- Il vostro papa, Tawadros II, li ha canonizzati come martiri e inseriti nel sinassario copto, e tali vengono considerati anche dai cattolici dopo che Francesco, vescovo di Roma, li ha iscritti nel martirologio romano. Ed è la prima volta che accade da quando le nostre Chiese si sono separate.
«Sì, ma io mi riferisco al sentire comune, alla voce del popolo cristiano. Non l’abbiamo sentita. Perché questa è una sciagura che riguarda tutti, a prescindere dalle confessioni, cattolici, ortodossi eccetera. Invece non è accaduto nulla. E questo atteggiamento rinunciatario, ci porterà a essere sempre più deboli, meno uniti. Il cristianesimo così viene avvertito: una religione debole».
- Debole o dei deboli?
«No, debole, debole. È molto diverso. I cristiani devono mettere in conto le persecuzioni, lo so. Ma io non mi riferisco a questo, e neppure ne faccio un discorso rivendicativo o battagliero o nazionalista – su quest’ultimo concetto, come sulla terra, occorrerebbe aprire una lunghissima digressione… –. Mi domando come mai, dopo tante manifestazioni in difesa della libertà, dalla Palestina all’Ucraina ecc., non si sia mai accennato alla condizione dei cristiani che, in tanti paesi africani e asiatici, è veramente pessima, probabilmente la peggiore in assoluto. L’ultimo attacco è avvenuto pochi giorni fa, nel Daghestan russo, ai danni di due chiese ortodosse (e di una sinagoga): hanno ammazzato anche un prete, ma i paesi occidentali non hanno protestato».
- In certi ambienti, soprattutto laici e progressisti, difendere il cristianesimo è ormai un tabù. Si cerca semmai di occultarlo, fors’anche di cancellarne la memoria. Il cristianesimo viene identificato con la Chiesa, con l’Occidente bianco, colonialista, patriarcale… ed eteronormativo.
«Gli europei non sono forse bianchi? Lottano contro sé stessi? A me da piccolo davano del ne*ro. Ad ogni modo non mi risulta non esistano islamici altrettanto bianchi colonialisti schiavisti patriarcali e via discorrendo».
- Però, sia pure schematizzando, le cose stanno così. Anche Israele viene percepito come “oppressore bianco” e le violenze verso le donne israeliane o ebree tout court minimizzate se non addirittura passate sotto silenzio. Alcuni giorni fa, a Parigi, una ragazzina dodicenne ha subìto uno stupro terribile da parte di coetanei per aver nascosto la sua identità ebraica e le organizzazioni transfemministehanno risposto con un assordante silenzio. Come lo spieghi?
«Secondo me, certe persone non conoscono a fondo per cosa e soprattutto per chi stanno manifestando. Rimango ugualmente stupefatto quando donne femministe difendono il velo islamico parlando di libertà di scelta. Dimostrano di ignorare del tutto la realtà di quei luoghi. Non si tratta della singola persona che in tutta tranquillità decide di coprirsi il capo oppure no, questa sarebbe una sciocchezza, si tratta di capire che per alcune donne non velarsi significa rischiare la vita. E la comunità LGBT? C’è chi inneggia “Queer Palestine”, una follia. Come fai a difendere gente che ti considera un peccatore se non addirittura un malato? Questo manca, la visione d’insieme, il senso della comunità».
- Le donne iraniane continuano a manifestare per i loro diritti, sostenute anche da tanti uomini, e spesso finiscono in carcere o uccise. La protesta ha preso avvio dopo l’assassinio di Mahsa Amini, una cosiddetta “malvelata”, ma trascorsa la prima fiammata d’indignazione il mondo ha spento i riflettori sulle oppositrici/oppositori del regime iraniano. Identico discorso per le afghane oppresse dai talebani. E quando, ormai sporadicamente, si leva qualche flebile voce di dissenso, nessuno osa chiamare in causa il fanatismo religioso, se non è cristiano.
«Cioè?»
- Taluni progressisti occidentali non esitano a tuonare contro la presunta ingerenza della “Chiesa” nelle loro società, pur se ormai del tutto scristianizzate. Ma sorvolano o ridimensionano i crimini commessi per esempio da Hamas, per non apparire “islamofobi”.
«Ma cosa c’entra?!? Anch’io ho degli amici musulmani, e per forza di cose io stesso mi sento un po’ musulmano. Il fondamentalismo danneggia tutti, compresi loro. Allora non si devono studiare le Crociate per non offendere i cristiani? Siamo seri, per favore».
- Se è per questo, esistono scuole in cui hanno cancellato le manifestazioni natalizie o pasquali in nome di una maggiore “inclusività”.
«L’inclusività include, non toglie. E poi non ricordo nessun ex-compagno di scuola musulmano che si sia sentito “offeso” dal Natale, presepi o simili. Certi docenti evidentemente non sanno che Gesù è considerato un grande profeta dell’Islam, e che la figura di Maria Vergine è molto unitiva, in Libano l’Annunciazione è addirittura festa nazionale. E la celebrano tutti, cristiani e musulmani».
- Qual è il vostro rapporto con la Palestina?
«Il rapporto dei cristiani con la Palestina è molto complesso. Anch’essi sono vittime della mattanza in corso, benché, al solito, ben pochi lo rilevino. Tanta gente è stata uccisa a sangue freddo nelle chiese in cui aveva trovato riparo, il ricordo di ShirinAbu Akleh [la giornalista palestinese trucidata a Jenin nel 2021, ndr] è ancora fortissimo, diventando un’icona di tutta la Palestina al pari di Mahmoud Darwish o Yasser Arafat. Shirin era cristiana, di Betlemme. E tutti i palestinesi si identificano in lei. Questo da un lato è molto bello. Però Shirin è morta, anzi, è stata assassinata, dalle forze di sicurezza israeliane. I cristiani in Palestina non sono ospiti ma figli di quella terra, e soffrono quanto i musulmani. D’altronde la loro condizione numericamente precaria li espone a gravi rischi, soprattutto se dovessero prevalere le forze estremiste e intolleranti».
- Hai dichiarato di sentirti un po’ musulmano. A parte che hai usato la stessa espressione del patriarca di Ninive, card. Sako, vuoi spiegarti meglio?
«Sono nato in un ambiente a maggioranza musulmana, ne ho assorbito l’influenza, devo tenere in considerazione certe regole e limitazioni prima di compiere delle azioni. E poi c’è la lingua, la cultura, un determinato modo di vivere la spiritualità e di pregare…»
- Possiamo dire che sono più le cose che uniscono che quelle che dividono?
«Sì, ma c’è tutto l’interesse a rimarcare le differenze, non come ricchezze ma come contrapposizioni insanabili».
- Chi alimenta questo clima di scontro?
«Ovviamente i potentati politici ed economici, ma non è tutto. E non è inevitabile. Siamo noi che gli conferiamo questo potere, arrendendoci ancora prima di lottare. Il politicamente corretto è micidiale in tal senso, si presenta come uno strumento anti-sistema e invece non fa che acutizzare i contrasti azzerando la storia, la vera storia».
- Ho notato che la storia ricorre molto spesso nelle tue argomentazioni. Ed è proprio questo che la cancel culture tende a rimuovere, il concetto di storia.
«Secondo me il motivo di questa rimozione è religioso, da lì discende tutto il resto. Non si ha il coraggio di ammetterlo, però».
- Cosa vuoi dire?
«Che molti cristiani hanno smesso di praticare perché vedono la religione come un fatto simbolico, e per simbolico intendono astratto e in ultima analisi falso, o superato. Sono poche, oggi, le persone che leggono e interpretano la Bibbia. Sempre riguardo alla Palestina, da quando sono cominciati gli attacchi, nell’ottobre 2023, le strade e i social propongono immagini e video di guerre, di bambini affamati con frasi del Corano in sottofondo. Il mondo intero ne discute, diviso fra chi sostiene la Palestina e chi difende Israele. Ma per quali motivazioni? Quali partner teme di perdere, l’Europa? Perché nessuno si è mosso per tutelare i copti come stanno facendo i musulmani con i loro correligionari? Certo, ci sono in ballo interessi di potere e denaro. Ma perché nessuno s’interroga sul sentimento profondo dei singoli? Perché non si tiene conto del paesaggio di formazione, delle interpretazioni dei testi sacri? Ma no, si preferisce accantonare il problema. Forse dà fastidio. Ma tutto questo ci porterà in breve tempo a distruggere secoli di storia e d’impegno dei nostri antenati, permettendo così ad altri d’imporre il loro credo e le loro leggi. E sia chiaro, io ho una concezione ampia della storia: non m’identifico con i conservatori che agitano lo spauracchio dell’immigrato invasore, a prescindere dal fatto che rientrerei pure io nella categoria. Per me è impossibile concordare con questa visione perché, quand’anche si definiscano cristiani, essi equiparano il cristianesimo all’Occidente, proprio come i loro avversari “di sinistra” e gli estremisti. In questo modo anch’essi cancellano o quantomeno riducono la storia. Il cristianesimo non trae origine in un contesto occidentale. L’Occidente è incomprensibile senza il cristianesimo ma le radici stanno altrove e del resto non esiste un solo modo di concepire il cristianesimo. Questo colonialismo religioso ha provocato danni incalcolabili, sta alla base della nostra emarginazione di cristiani orientali. Siamo visti come stranieri, o complici degli stranieri. Una grande sofferenza».
- Alcuni individuano nelle religioni il seme della violenza e ne auspicano la scomparsa o il loro confinamento in un ambito strettamente privato. Qual è il tuo parere?
«I regimi atei si sono rivelati violenti quanto quelli teocratici. Penso all’Urss, alla Corea del Nord… Il postulato quindi non regge. Ma meglio un ateismo esplicito a quello, sottile, di chi vorrebbe la religione “in cantina”, dove non servirebbe a nulla e a nessuno. Ciò in cui si crede informa il vivere civile e imporlo o no dipende dalla sensibilità delle persone. Fondare la propria esistenza su “valori” consumistici ed edonistici non mi sembra una grande conquista per l’umanità. Senza contare che nessuno si sacrificherebbe per l’ultimo modello di smartphone. Lo sviluppo tecnologico e le comodità piacciono a tutti ma, essendo strumenti e non fini, non soddisfano le esigenze profonde dell’essere umano».
- Un augurio?
«Un appello: non dimenticateci. O finirete per dimenticare voi stessi».
© Daniela Tuscano
Comentarios